Il sistema italiano delle piccole e medie imprese può uscire favorevolmente dalla tempesta geopolitica ed economico commerciale in atto
Siamo bombardati da numeri terrificanti, ma di questi numeri, molti sono ballerini (dazi e contro dazi, dei quali quasi giornalmente cambia l’entità le merci sottoposte, i paesi di provenienza soggetti alle imposizioni); altri numeri sono solo virtuali (l’entità delle ricchezze bruciate in borsa, calcolata come se tutto il patrimonio in borsa fosse venduto il giorno del crollo); altri ancora sono stimati arbitrariamente da una parte per l’oggettiva incertezza dei dati, ma dall’altra per carenze quali l’incompleta rappresentazione dei fenomeni economici, le fantasiose ma preoccupanti stime degli effetti dei dazi sugli scambi internazionali e per mancata considerazione di fenomeni decisivi come:
- il peso dello scambio di servizi (la bilancia dei pagamenti non comprende solo le merci)
- l’intreccio di componentistica vitale nei prodotti finiti posti sul mercato quali i chip che sono ormai decisivi anche in oggetti di uso comune
- la possibilità di cambiare le destinazioni dell’export
- le modifiche automatiche dei tassi di cambio in condizioni di surplus che tendono a riequilibrare gli scambi e tante altre a cominciare dai fenomeni inflattivi
Non lasciamoci scoraggiare ai primi sintomi negativi e dalle previsioni nefaste. Mi sembra opportuno invece domandarci cosa possono fare i produttori italiani per affrontare la crisi e risulterà che, come spesso accade, sono possibili anche sviluppi favorevoli e non solo resilienza, una parola abusata che sa di difesa dell’esistente.
Cominciamo a indicare alcune cose che non dobbiamo fare. Non possiamo pensare di battere i competitori sul loro terreno entrando nel percorso della riduzione dei prezzi:
- per le produzioni di massa dalle quali siamo fuori (le cosiddette commodities indifferenziate) ottenute in condizioni di dumping economico sociale ed ambientale; su queste i governi debbono assicurare la riduzione della vulnerabilità e il contenimento dei prezzi mediante la diversificazione delle provenienze di approvvigionamento e gli accordi di interdipendenza (tipico il caso dell’energia)
- per i nostri prodotti di successo riducendo i margini o riducendo la qualità; la produzione italiana è di fascia alta e fatte salve limitate eccezioni, tale deve restare,
Domandiamoci perché i nostri prodotti hanno successo: la prima caratteristica che ci viene in mente è la qualità. Proviamo ad approfondire; la domanda di partenza: è qualità oggettiva o percepita e la risposta è che sono necessarie entrambe. La qualità oltre ad esser presente nel prodotto deve esser fatta percepire al potenziale acquirente. Per far ciò occorre comprendere il sistema di valori dell’acquirente: il gusto, lo status che si vuol dimostrare di aver raggiunto, l’esclusività (per la quale si arriva al paradosso che il prezzo è ritenuto prova di qualità rovesciando la convinzione che il prezzo è giustificato dalla qualità).
Senza arrivare a tanto, per certi beni di fascia alta il prezzo non è l’elemento decisivo per la propensione all’acquisto.
Si potrebbe disquisire a lungo sulle differenze fra valore (un giudizio soggettivo), qualità (un giudizio con elementi di oggettività) ed eccellenza (un giudizio comparativo), ma concentriamoci su come far percepire la qualità dei prodotti.
Un punto di partenza può essere la constatazione che sempre più si compra non un oggetto (hardware) con l’unico obiettivo di assolvere la funzione cui è deputato, ma un oggetto arricchito da un software che corrisponda a bisogni (o soltanto desideri) non primari dell’acquirente (da sempre è così per l’abbigliamento, per gli orologi per gli accessori).
Gli esperti di marketing affermano che si compra anche una storia iconica (tipico il caso del Mulino bianco). Interessante riflettere sulla durata: un tempo era un valore, oggi è quasi un fastidio, certo per il produttore, ma anche per chi acquista perché non ha piacere di esibire un oggetto superato. Quanto valeva per l’abbigliamento oggi vale per una lunga lista di beni che tutti abbiamo ben presente. Vale anche per prodotti di consumo quotidiano: pensiamo al successo dei prodotti dell’agricoltura biologica.
In questo arricchimento noi siamo riconosciuti maestri sia di qualità intrinseca, sia di induzione alla percezione/apprezzamento della qualità attraverso un racconto che deve mescolare elementi retrospettivi (le radici) ed elementi prospettivi (l’avanguardia, l’innovazione).
La concettualizzazione, la valorizzazione, la comunicazione di questo mix sono il focus di questo incontro intitolato Innovare la tradizione che non è affatto un ossimoro come potrebbe sembrare a prima vista.
Errata la distinzione fra settori avanzati e settori maturi consolidati; anche questi ultimi possono (forse è più realistico dire debbono) avvalersi di innovazioni a cominciare dalla fase di produzione (nuovi materiali, nuovi processi di valorizzazione di materiali tradizionali, elettronica, digitalizzazione).
Una scelta di correttezza ma anche di comunicazione positiva è l’assunzione di responsabilità nella esclusione di comportamenti irrispettosi dei diritti dei meno privilegiati.
Può essere decisiva anche un’equilibrata rappresentazione dei valori green, dai materiali di origine, ai consumi implicati fino alla possibilità di riciclo.
Tutti questi fattori di apprezzamento trovano la loro sintesi nella caratteristica “Made in Italy” che va sostenuto con la qualità oggettiva, ma anche adeguatamente certificato e comunicato in tutti i suoi risvolti qui accennati.
Per chiudere, alcune osservazioni collaterali di macroeconomia e geopolitica molto generali. I paesi leader nel commercio internazionale, anche nelle loro declinazioni più spinte, hanno comunque assoluto bisogno di fornitori, come è ovvio, ma anche di acquirenti. La storia della civiltà non è sbagliato considerarla come la storia degli scambi, a cominciare dalla continua apertura di nuovi mercati, in un rapporto dinamico e inscindibile tra venditore e acquirente, per sua natura mutuo.
In parole semplici, i Cinesi non potranno vendere a un mondo di poveri (anche se per la verità stanno tentando di far crescere i consumi interni). Si possono leggere in questa direzione anche le riflessioni del grande sociologo Zygmunt Bauman sull’Homo consumens ormai consolidate. Sono di maggiore attualità e pertinenza alla situazione contingente le indicazioni di Vittorino Andreoli nel suo libro profetico di cinque anni fa intitolato Homo incertus, la cui tesi è riassunta nella frase ”Un mondo di pace non è un mondo privo di conflitti, di diatribe, di contrapposizioni, ma semplicemente una realtà che ritiene possibili affrontarli e risolverli senza dover ricorrere alla violenza e alla guerra”.
Con un po' di cinismo non dimentichiamoci che le nostre produzioni possono andare ai privilegiati nei Paesi dove esportiamo. Un esempio è stato quello degli acquisti di prodotti italiani da parte dei nuovi ricchi russi dopo la caduta del muro di Berlino. Se il 5 % dei cinesi e degli indiani sono benestanti totalizzano 150 milioni di potenziali acquirenti e ci sono benestanti anche in Paesi che hanno intrapreso percorsi di crescita non solo nel mondo della penisola Araba, ma anche in alcuni Paesi africani dei quali in Italia non si consono abbastanza le dinamiche. Nel sud est asiatico, oltre a paesi benestanti come il Giappone e la Corea del Sud altri Paesi possono essere un importante sbocco di crescita del nostro export. Non dimentichiamo, d’altra parte,
che gli acquisti da parte dei turisti internazionali sono sul piano economico assimilabili all’export e in più questi turisti si possono considerare ambasciatori del made in Italy nei paesi di provenienza.
Il mercato interno ha ancora margini di sviluppo e il made in Italy è una connotazione che ha ampie potenzialità di apprezzamenti anche all’interno, non solo per patriottismo commerciale ma anche per consapevolezza dei difetti di certe forniture super economiche di provenienza estera.
Quasi tutto quello che ho esposto è difficilmente accessibile alla singola impresa. È invece di agevole accesso per reti sinergiche di piccole imprese complementari, una nostra capacità di interagire dai temi delle corporazioni di arti e mestieri che ha trovati ai tempi attuali una rinnovata valenza territoriale. Federitaly ha esattamente questa missione: assicurare a realtà produttive anche di piccola e media dimensione, una serie di servizi, di rapporti di occasioni di visibilità, di credibilità altrimenti difficilmente acquisibili.
Va riconosciuto che la giornata odierna dimostra che le istituzioni si rendono conto della necessità di un’azione sistematica e concreta a supporto del Made in Italy. È un buon inizio, ma molto resta ancora da fare.